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Groenlandia: L’isola del ghiaccio tra sogni geopolitici e realtà strategiche
Dal tentativo di acquisto di Truman alla sovranità danese, una storia di interessi globali
Dal tentativo di acquisto di Truman alla sovranità danese, una storia di interessi globali La Groenlandia, crocevia di cultura e strategia La Groenlandia, con i suoi sterminati ghiacciai e la sua posizione strategica tra l’Europa e il continente americano, è molto più di un’isola ricoperta di ghiaccio. Da decenni rappresenta un punto focale per le grandi potenze mondiali, che vedono in questa…
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Mi piacerebbe che a questa cosa rispondessero i piccoli fan di Trump, Musk e Meloni.
Allora, amici sovranisti, dovete sapere che le comunicazioni strategiche e militari del governo ucraino, oggi, avvengono quasi tutte grazie a Starlink, ovvero la struttura di proprietà di Elon Musk, che ha messo a disposizione di Kiev i propri satelliti.
Però, con Trump, Zelensky è diventato di colpo un “dittatore”, non più un alleato (quello è Putin), quindi la proposta attuale degli USA è cambiata in: “O ci date 500 miliardi di dollari dei vostri minerali rari (grafite, litio per le batterie Tesla ecc.) oppure vi stacchiamo direttamente la spina di Starlink, lasciandovi senza internet e senza comunicazioni”. Bello, eh?
Dovete anche sapere che Starlink è la stessa struttura che Giorgia Meloni stava pensando di utilizzare per le comunicazioni militari e governative future del nostro Paese, firmando un contratto multimilionario con Musk. Questo a discapito di Iris, il progetto Europeo che dovrebbe essere pronto nel 2030. Per ora non esiste un accordo, ma diversi uomini del governo (tra i quali il solito Salvini, che quando c’è da gridare stronzate scatta sempre in pole position) si sono già dichiarati entusiasti di affidare le comunicazioni critiche italiane nelle mani di Musk.
Ci siete? Capito tutto fin qui, amici sovranisti? Bene, tenete duro che manca poco.
Ora mettiamo il caso che un domani vada al governo qualcuno che non piace a Trump/Musk. Un governo di centro sinistra, ad esempio. Oppure mettiamo il caso che la stessa Meloni faccia qualcosa che non piace ai suoi padroni d’oltreoceano (sì, lo so che è un’ipotesi assurda perché noi siamo i cagnolini più fedeli del mondo, ma fingiamo per un attimo che succeda qualcosa del genere e lei scodinzoli in un modo che non piace a Trump).
Come è appena successo con l’Ucraina, Musk ci metterebbe 5 minuti a minacciare di staccarci la spina, se non dovessimo saltare sull’attenti agli ordini del padrone.
È questo che intendete per “sovranismo”? È questo che avete in mente quando dite “Italia agli italiani?”. Mettere la sicurezza del vostro Paese in mano all’uomo più ricco del mondo, ovvero un tossico nazistoide che lavora per un governo straniero? A voi starebbe bene, vero?
Lo sapevo che eravate gente furba, ragazzi, ma non immaginavo così tanto. Emiliano Rubbi, Facebook
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10 luoghi insoliti e attraenti per i turisti che devi visitare.

L'Egitto ha molte affascinanti aree turistiche che catturano gli occhi dei turisti, e la maggior parte di noi non li conosce, e luoghi turistici sconosciuti sono spesso pieni di natura pittoresca e godono di comfort e ricreazione. È possibile prenotare i migliori viaggi di EGITTO TOURS per visitare gli importanti siti archeologici.
Camel Valley Reserve: Situata a sud di Marsa Alam nel governatorato del Mar Rosso, l'area è stata così chiamata perché contiene piante con un gusto distintivo per la bellezza, i pastori hanno sempre trovato cammelli randagi che si radunano in questa zona e alcuni la chiamano ancora la "valle dei cammelli perduti". È possibile prenotare i migliori viaggi da PACCHETTI DI VIAGGIO EGITTO consiglia di visitare siti Egitto.
Il Lago incantato con la testa di Maometto: Situato nel sud del Sinai, è stato così chiamato perché l'acqua cambia colore 7 volte a seconda della luce solare, perché contiene una grande quantità di minerali che contribuiscono al trattamento delle malattie reumatiche. È possibile prenotare i migliori viaggi attraverso il Cairo e il Nilo in aereo 8 Giorni 7 notti Egitto per vedere i paesaggi più belli e godersi il bel tempo.
I visitatori della Riserva possono accamparsi lì per un giorno e praticare immersioni per vedere barriere coralline, pesci colorati e rara vita marina, e la Riserva ospita molti animali rari come caribù di montagna nubiani e conigli di montagna e ha fossili risalenti a più di 20 milioni di anni. Prenota ora il tuo tour con EGITTO TOUR CLASSICI per goderti la bellezza della natura.
Il Lago Incantato di Wadi Al-Rayyan: È meno famoso del lago di Ras Mohammed, a causa delle sue numerose montagne e dune di sabbia, che lo rendono un po ' sommerso, Il Lago Incantato di Wadi Al Rayyan è il luogo ideale per praticare il sandboarding, poiché il campionato internazionale di sandboarding si è tenuto nel 2016 con la partecipazione di molti paesi, oltre ad essere un luogo ideale per praticare alpinismo, nuoto e parapendio. È possibile prenotare i migliori viaggi attraverso il Cairo, Crociera sul Nilo e l'Oasis Tour per vedere i paesaggi più belli.
La montagna rotonda di Fayum: Uno dei luoghi turistici sconosciuti, che è un altopiano a forma di cerchio incontrato da 3 altipiani, simili a piramidi, e l'acqua scorre tra loro sotto forma di una lingua dal lago e c'è una spiaggia in fondo alla montagna lunga circa 500 metri, che è uno dei paesaggi pittoreschi del lago che ti piacerà visitare. Prenota il tuo tour ora 4 giorni Cairo Vacanza breve pausa per ricevere i migliori trattamenti in Egitto.
La montagna dei morti in bella vista: Una montagna archeologica che molti non sanno quando visitano l'Oasi di Siwa, è una necropoli a forma di alveare scolpita in pietra che ricorda la forma di un'antica oasi, una montagna conica con un'altezza di 50 metri, e la sua storia risale all'epoca tolemaica e romana. Prenota ora il tuo tour con i pacchetti Cairo Vacanze brevi per vedere i paesaggi.
Bataba fjord Bay: È un posto meraviglioso situato a una distanza di 15 chilometri da Taba, un luogo per lo snorkeling, guardando le barriere coralline e la bellezza della natura. Prenota il tuo tour ora di 11 giorni Cairo, Crociera sul Nilo e tour del Mar Rosso per esplorare quei fantastici siti.
Wadi Sanur Cave Reserve: situato a 40 km a est della città di Beni Suef, è stato dichiarato riserva naturale nel 1992, e la grotta si estende per circa 700 metri nel terreno con una profondità di 15 metri, e la sua larghezza raggiunge quasi 15 metri. È diviso in due parti; una contiene formazioni intere (stalattiti e stalagmiti) e l'altra contiene depositi di calcio di varie forme. È possibile prenotare i migliori viaggi da Cairo e Alessandria Tour 5 giorni 4 notti Per esplorare questo posto.
Mausoleo di Agakhan: È la sepoltura del terzo Agakhan (sultano Muhammad Shah), morto nel 1957, e si trova sull'isola centrale nel mezzo del Nilo ad Assuan e si trova su un altopiano dal lato occidentale della città, questo mausoleo è stato progettato nello stile delle tombe fatimidi egiziane, è uno dei luoghi che cattura l'occhio. Prenota ora il tuo tour al Cairo e Sharm El Sheikh Tour 7 giorni 6 notti per goderti i pacchetti vacanza.
Grotta del vicino: Si trova nel deserto occidentale dell'Egitto ed è caratterizzata dalle sue dimensioni magiche, è sorto nel corso di milioni di anni come risultato naturale dell'acqua pura e del clima desertico secco, ma è diverso da tutte le grotte della regione, dove le forme sedimentarie discendenti e ascendenti sembrano più cascate ghiacciate. Prenota il tuo tour ora 7 giorni Cairo, Alessandria, Luxor e Assuan Pacchetto vacanza per visitare i migliori posti in Egitto.
Grod Abu Muharraq: è un'enorme catena montuosa di sabbia sulla strada per la grotta vicina, che è la fine del più grande mare di sabbia nel deserto occidentale, ed è una delle aree di campeggio più belle e meravigliose nel deserto. È possibile prenotare i migliori viaggi da Il Cairo e l'avventura nel Deserto Bianco per esplorare quei siti incredibili.
@cairo-top-tours
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O IL LITIO O LA VITA: LA SCOMMESSA DI TRUMP SUL SACCHEGGIO DELL'UCRAINA
EUROPA 05 Febbraio 2025 Stando al New York Times, Kiev sarebbe disposta a un accordo sui minerali, in cambio di «garanzie di sicurezza». Ma il 70% di tutti i metalli rari viene estratto in territori che ora fanno parte della Russia. di Fabrizio Poggi per l’AntiDiplomatico L’Ucraina è un paese ricchissimo. Detta così, sembra l’ennesimo oltraggio a un popolo che, da oltre dieci anni, sta…
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La BMW ci informa che, per un futuro sostenibile e di successo, punterà:
- Idrogeno
- Gasolio sintetico
- Elettrico
E così comprendi che, se non sono scemi, sono cocciuti! Lì dove il fallimento vuole, necessariamente, essere di casa! Perché? Semplice!
- L'idrogeno non esiste in natura in giacimenti ove estrarlo, va prodotto per elettrolisi (rendimento del 15%) o ricavato dalla "rottura" dei legami del metano CH4, usando il carbone o dalla distillazione del petrolio (tecnicamente si parla di reforming da petrolio, cracking del metano e gassificazione del carbone).
In ogni caso devi investire molta più energia rispetto a quanta ne potrai ottenere dall'impiego del "vettore energetico".
- Il gasolio sintetico si ricava attraverso una reazione della CO2 in un ambiente ad alta temperatura e pressione di idrogeno, in presenza di un catalizzatore. Successivamente è necessario procedere alla separazione per distillazione delle diverse frazioni ottenibili: eBenzina, eDiesel. La cattura del CO2 a partire dall'aria atmosferica richiede incredibile dispendio di energia, così come la produzione dell'idrogeno su base elettrolitica, nonché la separazione delle diverse frazioni. Un processo di gran lunga peggiore della produzione dell'idrogeno stesso, solo più sicuro e comodo da stoccare, trasportare e per rifornire le auto.
- Elettrico, e che ne parliamo a fare? La chimica è nota, la matematica anche. Si devono estrarre ed elaborare, utilizzando acido cianidrico, acido cloridrico, volendo tralasciare il massiccio impiego del carbone, elementi delle Terre Rare come di altri minerali e non meno rari (Cadmio, Cobalto, Disprosio, Neodimio, Platino, facendo i nomi...), e prodotte le batterie, vanno assemblate ed alimentare da una rete sufficientemente capace in termini di potenza. L'autonomia è scarsa, l'affidabilità modesta, la durate un'incognita. Costi, inquinamento ed affidabilità, ne sconsiglierebbero l'impiego, ma la potenza delle distorsioni politico-ambientaliste...
Continuiamo a parlare? Credo sia superfluo, è sufficiente fermarsi qui. Certo, chi pretende di credere a simili follie, non potrà non essere iscritto di diritto nella nuova chiesa climatica...
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La filastrocca dei Sei Regni
In Terra d'Oro, il cuore risplende, Regno di abbondanza, dove tutto si accende. Popoli vari, in pace e armonia, Sotto un sole dorato, che mai andrà via.
Solaria è casa di legna e belle messi, Ampie terre verdi, e orizzonti senza compromessi. Muggiti e belati, risuonano in coro, In questo regno, si vive con gran decoro.
Auroris brilla di pietre preziose, Minerali rari, dalle forme più meravigliose. Nelle caverne, un arcobaleno sotterraneo, Dove l'oro risplende, eterno e mai temporaneo.
Verentia, regno di grano e vigne, La terra è dolce, fa promesse benigne. Tra il frumento che ondeggia, e l'uva che matura, La vita scorre, dolce e pura.
Lumina, tra luci e ombre danza, Industria e ricerca, in costante esultanza. Macchine e ingranaggi, in un balletto infinito, Qui il futuro, viene già applaudito.
Petravia, terra di fiumi e di fonti, Dove l'acqua scorre, libera sui monti. Nel suo flusso, la vita trova via, In questo regno, ogni giorno è poesia.
Fuori da qui, solo ignoto e pericoli, Altri domini ci sono, ma risultano così ridicoli. Lontani dal sole, hanno perso ogni speranza, Popoli assai strani, colmi di tracotanza.
Sei regni, in un mondo senza fine, Ognuno con la sua rima, ognuno con il suo confine. Io vi canto di meraviglie, ascoltate bambini, Ogni regno ha la sua storia, ogni regno ha i suoi destini.
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Mercato illegale di minerali per l'elettronica

Il lato sporco dell’energia pulita. Il dramma dell’estrazione illegale dei metalli per la transizione ecologica. Dal Brasile, al Cile, all’Argentina a panama, la domanda di metalli più o meno rari, e comunque necessari alla transizione ecologica, sta rendendo sempre più diffusa l’estrazione illegale Con l’aumento della domanda di minerali critici, aumenta anche la quantità di attività estrattive illegali, che si appoggiano allo sfruttamento eccessivo dei lavoratori e delle risorse naturali. È in atto un boom minerario come non si vedeva da decenni, poiché i governi e le società energetiche perseguono nuovi progetti minerari per estrarre i minerali critici necessari a sostenere la transizione verde globale. Le aziende cercano di estrarre un’ampia gamma di metalli e minerali, come litio, cobalto e zinco, per la produzione di batterie agli ioni di litio, apparecchiature per le energie rinnovabili e altre tecnologie pulite. L’aumento dell’attività estrattiva a livello mondiale sta anche attirando l’attenzione indesiderata di criminali che cercano di accaparrarsi una fetta della torta dei minerali critici conducendo attività minerarie illegali. Il Brasile soffre da tempo di estrazione mineraria illegale, che sta diventando ancora più diffusa con l’aumento della domanda di metalli e minerali preziosi. Una delle recenti retate ha sorpreso i criminali mentre estraevano grandi quantità di cassiterite, il principale minerale dello stagno.

Sebbene se ne parli meno rispetto ad altri minerali critici, lo stagno è un componente chiave per il rivestimento di pannelli solari, batterie agli ioni di litio e saldature per un’ampia gamma di prodotti elettronici. Il prezzo dello stagno è aumentato del 29% nei primi sei mesi di quest’anno e il Brasile è uno dei suoi maggiori esportatori. Le attività minerarie illegali nella regione amazzonica brasiliana sono aumentate, poiché un maggior numero di aziende ha investito in attività minerarie convenzionali nell’area. Oltre alla cassiterite, le bande criminali cercano di estrarre anche manganese e rame. Il numero di progetti minerari è aumentato in seguito alla recente introduzione di iniziative per attrarre investimenti minerari critici da parte del governo brasiliano. Il governo ha cercato a lungo di stroncare le attività illegali di estrazione dell’oro in Brasile, ma le bande criminali continuano a cercare l’oro e altri minerali critici. Sebbene il prezzo della cassiterite sia notevolmente inferiore a quello dell’oro, circa 14-21 dollari al chilo, è molto più abbondante. Le bande possono estrarre fino a 300 kg di cassiterite al giorno sulla terra degli indigeni Yanomami, rispetto a circa 4 kg di oro al mese. L’estrazione della cassiterite può contribuire a finanziare l’estrazione illegale di oro, rendendola un’attività vitale per le bande criminali. Queste bande pagano i camionisti per contrabbandare illegalmente la cassiterite attraverso i confini degli Stati brasiliani, nascosta tra altri prodotti, come frutta e pesce. Nel 2022, 60 tonnellate di cassiterite in viaggio verso la Cina sono state sequestrate in un’unica operazione al porto di Manaus.

La polizia continua a sequestrare ogni giorno enormi quantità di minerali critici estratti illegalmente e nascosti nei camion sulle autostrade brasiliane. Nel giugno di quest’anno, la polizia ha sequestrato 23.000 tonnellate di manganese che stavano per essere esportate in Cina. Questo ha portato la polizia federale a chiudere un sito minerario illegale nello stato di Pará. Le autorità dello Stato hanno anche fatto irruzione in diversi siti di rame e oro, dove hanno riferito che i lavoratori operavano in condizioni di schiavitù. Caio Luchini, capo della polizia federale di Roraima, lo stato più settentrionale del Brasile, ha sottolineato le difficoltà nel reprimere le nuove attività minerarie illegali. Luchini ha detto che è più facile nascondere l’origine illegale della cassiterite e di minerali simili rispetto all’oro, che ha “controlli più rigidi”. Ha aggiunto: “Con questo boom della cassiterite e di altri minerali, vale la pena di rianalizzare la nostra legislazione”. Non solo Brasile e Amazzonia Il Brasile non è l’unico Paese dell’America Latina a combattere l’estrazione illegale. Nel “Triangolo del litio”, una regione con abbondanti riserve di litio situata in Argentina, Bolivia e Cile, si teme un aumento delle attività minerarie illegali, poiché le bande cercano di trarre profitto dall’estrazione di uno dei minerali critici più ricercati. Nel frattempo, questo mese a Panama, il governo ha avvertito di un aumento del rischio di attività minerarie illegali in seguito alla chiusura delle operazioni della miniera di rame Cobre Panamá nel novembre dello scorso anno. Il ministro della Sicurezza di Panama, Frank Ábrego, ha dichiarato: “Per queste pratiche vengono utilizzati metodi inappropriati e sostanze chimiche altamente pericolose come il cianuro. Ci sono informazioni che indicano che gruppi criminali organizzati sono coinvolti in questo business illegale”. Il mercato di questi minerali critici è enorme, in quanto i Paesi di tutto il mondo si stanno impegnando a rafforzare le loro catene di approvvigionamento per garantire una fornitura costante di metalli e minerali in grado di soddisfare la crescente domanda. I leader criminali hanno trovato modi innovativi per utilizzare le rotte commerciali legittime per esportare minerali illegali, rendendo più difficile tracciare le loro attività. Ad esempio, recenti rapporti suggeriscono che i porti franchi, originariamente destinati a fornire stoccaggio e transito di merci in esenzione fiscale, sono stati utilizzati dai leader criminali per vendere in tutto il mondo i minerali critici acquisiti illegalmente. Nell’aprile di quest’anno, l’ONU ha guidato un gruppo di lavoro che mirava a sostenere oltre 100 Paesi nella definizione di linee guida per prevenire alcuni dei fenomeni di degrado ambientale e di violazione dei diritti umani legati all’estrazione di minerali critici. Le linee guida affronterebbero l’aumento dei casi di lavoro illegale e di violazione dei diritti umani legati all’industria. Comunque c’è ancora molto da fare per affrontare l’aumento delle attività minerarie illegali nelle principali regioni minerarie del mondo. Mentre i governi cercano di reprimere l’estrazione illegale all’interno dei loro confini, l’introduzione di standard internazionali più rigorosi per l’esportazione di minerali potrebbe contribuire a ridurre il problema, incoraggiando una maggiore trasparenza della catena di approvvigionamento per tracciare i minerali dall’estrazione all’esportazione. Read the full article
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Le spiegazioni:
Vero: Stalin Hitler e Tito hanno vissuto, a pochi metri di distanza tra loro, a Vienna nel 1913: Stalin viveva con Trotsky in centro a Vienna in fuga dalla polizia segreta dello zar di Russia, Tito, allora chiamato Josip Broz, lavorava alla fabbrica delle automobili Daimler, cercando soldi e belle ragazze. E poi c'era il 24enne che sognava di studiare pittura all'Accademia delle Belle Arti di Vienna, da cui era stato rifiutato due volte: Adolf Hitler.
FALSO: tutto nasce da un articolo del Wall Street Journal, il quale segnalò, guardando i prezzi dei Lego su Ebay, che l'andamento dei prezzi dei Lego da collezione in un certo periodo era aumentato più dell'oro, e siamo nel 2009. Da allora sono nati tutta una serie di siti, il più famoso Brickseconomy, che tentano di dare rigore ad un mercato che persino la stessa Lego non riesce a regolamentare. L'unica cosa certa è che i pezzetti "anonimi" si vendono a peso, e i pezzi più ricercati sono quelli con le ruote.
Vero: Il termine “terre rare” venne assegnato a questi speciali elementi chimici presenti nei minerali non per la loro scarsa presenza sul Pianeta, ma per via della loro difficile identificazione oltreché per la complessità del processo di estrazione e lavorazione del minerale puro. Sono rari in forma pura, ma riscontrabili in moltissimi altri minerali combinati: tuttavia, e qui sta il problema, sebbene centrali nel processo di transizione ambientale, le modalità di estrazione di alcuni di essi hanno impatti ambientali ancora giganteschi, soprattutto nelle forme pure di alcuni e non per esempio dal riciclo o il riutilizzo.
Vero: Arnold Schoenberg, il padre della dodecafonia, aveva una paura superstiziosa del numero 13, anche se era nato il 13 settembre. Rifiutò spesso di intitolare le sue opere con parole che contavano 13 lettere, ma il caso volle che morì anche il 13 luglio, all'età di 76 anni. Cosa ancora più simpatica, a proposito, è che entrambi questi tredicesimi giorni sono caduti venerdì.
Vero: Nino Vaccarella è stato uno dei più grandi piloti di Endurance del mondo negli anni '60. Palermitano, nel suo sontuoso palmares figura una leggendaria vittoria alla 24 h di Le Mans del 1964 al volante della Ferrari 275 P insieme con il francese Jean Guichet. Nel mondo delle corse è noto con il soprannome di "Preside Volante" dovuto alla sua attività di preside nella scuola privata di proprietà della famiglia, a Palermo: al termine della sua gara vittoriosa a Le Mans, Vaccarella, suo malgrado, si vide costretto a rifiutare di partecipare ai rituali festeggiamenti del vincitore per correre all'aeroporto di Orly e poter essere, l'indomani mattina, puntuale alle lezioni.
GRAZIE A TUTTI COLORO CHE HANNO PARTECIPATO
Vero o Falso (A Grande Richiesta)
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Il blu è un colore molto comune, o forse no. Infatti nell'arte dell'antichità il blu era utilizzato pochissimo, mentre si favorivano tonalità di colori come il nero, il bianco, il rosso e il verde. In natura il blu è una vera rarità. Infatti solo il 10% delle 280000 specie di piante sono blu, e i frutti che possono apparire blu come i mirtilli in realtà devono il loro colore ad una mutazione del pigmento del rosso, lo stesso delle ciliegie. Tra gli animali il blu si trova quasi unicamente sulle piume della ghiandaia azzurra, sul sedere del mandrillo, sulle zampe della sula piediazzurri, nel sangue del limulo e sul corpo del drago blu. Anche i minerali blu sono piuttosto rari, tanto che queste pietre sono state utilizzate spesso per realizzare immagini sacre o per conservarle, come ad esempio il frammento della croce di Cristo nella corona di Carlo Magno, racchiuso tra due zaffiri blu. Solo l'8% della popolazione mondiale ha gli occhi blu. Il cielo e l'acqua ci appaiono blu, ma in realtà non lo sono, ed entrambi possono essere di altri colori in base alle circostanze. Per molti secoli il blu e il verde erano considerati lo stesso colore, tanto che in molte lingue antiche esisteva un'unica parola per entrambi, e non ne esisteva una specifica per il blu. Uno studio di William Gladstone del 1858 ha rivelato che nell'Odissea di Omero il blu non viene mai menzionato a differenza di altri colori. Nel 14° secolo fu creato il pigmento chiamato "ultramarine" dai lapislazzuli blu, e nei dipinti del rinascimento veniva usato solo per i dettagli importanti a causa della sua rarità e del suo altissimo costo. Intorno al 1706 J.J. Diesbach tentò di creare una tinta di rosso unendo potassio e sangue, ma la reazione chimica diede vita ad un blu intenso, il blu di Prussia, che a differenza del ultramarine era economico e di facile produzione, aumentando l'utilizzo del colore blu nell'arte dei secoli a seguire. Al giorno d'oggi il blu è il colore più utilizzato al mondo, ed è incredibile se si pensa che per quasi l'intera esistenza umana questo colore non ha avuto nemmeno un nome, e che è stato praticamente "inventato" dall'uomo.
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Le guerre dicono di esserci per nobili ragioni: la sicurezza internazionale, la dignità nazionale, la democrazia, la libertà, l’ordine, il mandato della Civiltà o la volontà di Dio. Nessuno ha l’onestà di confessare: "Io uccido per rubare". In Congo, nel corso della guerra dei quattro anni che è in sospeso dalla fine del 2002, sono morti non meno di tre milioni di civili. Sono morti per il coltan, ma neppure loro lo sapevano. Il coltan è un minerale raro, e il suo strano nome designa la mescolanza di due rari minerali chiamati columbio e tantalio. Il coltan valeva poco o nulla, finché si scoprì che era imprescindibile per la fabbricazione di telefoni cellulari, navi spaziali, computer e missili; e allora è diventato più caro dell’oro. Quasi tutte le riserve conosciute di coltan sono nelle sabbie del Congo. Più di quarant’anni fa, Patrice Lumumba fu sacrificato su un altare d’oro e di diamanti. Il suo paese torna ad ucciderlo ogni giorno. Il Congo, paese poverissimo, è molto ricco di minerali, e questo regalo della natura continua a rivelarsi una maledizione della storia. Gli africani chiamano il petrolio "merda del diavolo". Nel 1978 venne scoperto il petrolio nel sud del Sudan. Si sa che sette anni dopo le riserve erano già più del doppio, e la maggior quantità giace nell’ovest del paese, nella regione del Darfur. Là, di recente, c’è stata, e continua a esserci, un’altra strage. Molti contadini neri, due milioni secondo alcune stime, sono fuggiti o sono stati uccisi dai proiettili, dai coltelli o dalla fame, al passaggio delle milizie arabe che il governo appoggia con carri armati ed elicotteri. Questa guerra si traveste da conflitto etnico e religioso fra i pastori arabi, islamici, e i contadini neri, cristiani e animisti. Ma il fatto è che i villaggi incendiati e i campi distrutti erano dove adesso cominciano ad ergersi le torri petrolifere che perforano la terra. La negazione dell’evidenza, ingiustamente attribuita agli ubriachi, è la più nota abitudine del presidente del pianeta, che, grazie a dio, non beve nemmeno un goccio. Lui continua ad affermare che la sua guerra in Iraq non ha niente a che vedere con il petrolio. "Ci hanno ingannato occultando sistematicamente informazioni", scriveva dall’Iraq, nel lontano 1920, un certo Lawrence d’Arabia: "Il popolo inglese è stato portato in Mesopotamia per cadere in una trappola dalla quale sarà difficile uscire con dignità e con onore". Lo so che la storia non si ripete, ma a volte ne dubito. E l’ossessione contro Chavez? Non ha proprio niente a che vedere con il petrolio del Venezuela questa campagna forsennata che minaccia di uccidere, in nome della democrazia, il "dittatore" che ha vinto nove elezioni pulite? E le continue grida d’allarme per il pericolo nucleare iraniano non hanno proprio niente a che vedere con il fatto che l’Iran contenga una delle riserve di gas più ricche del mondo? E se no, come si spiega la faccenda del pericolo nucleare? E’ stato forse l’Iran il Paese che ha gettato le bombe nucleari sulla popolazione civile di Hiroshima e Nagasaki? L’impresa Bechtel, con sede in California, aveva ricevuto in concessione, per quarant’anni, l’acqua di Cochabamba. Tutta l’acqua, compresa l’acqua piovana. Non appena si fu installata, triplicò le tariffe. Scoppiò una rivolta popolare e l’impresa dovette andarsene dalla Bolivia. Il presidente Bush si impietosì per l’espulsione, e la consolò concedendole l’acqua dell’Iraq. Davvero generoso da parte sua. L’Iraq non è degno di essere distrutto solo per la sua favolosa ricchezza petrolifera: questo paese, irrigato dal Tigri e dall’Eufrate, si merita il peggio anche perché è la pozza d’acqua dolce più ricca di tutto il Medio Oriente. Il mondo è assetato. I veleni chimici imputridiscono i fiumi e la siccità li stermina, la società dei consumi consuma sempre più acqua, l’acqua è sempre meno potabile e sempre più scarsa. Tutti lo sanno: le guerre del petrolio saranno, domani, guerre dell’acqua. In realtà, le guerre dell’acqua sono già in corso. Sono guerre di conquista, ma gli invasori non gettano bombe, né fanno sbarcare truppe. I tecnocrati internazionali, che mettono i paesi poveri in stato d’assedio ed esigono privatizzazione o morte, viaggiano in abiti civili. Le loro armi, mortali strumenti di estorsione e di castigo, non si vedono e non si sentono. La Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale, due ganasce della stessa morsa, hanno imposto, in questi ultimi anni, la privatizzazione dell’acqua in sedici paesi poveri. Fra essi, alcuni dei più poveri del mondo, come il Benin, la Nigeria, il Mozambico, il Ruanda, lo Yemen, la Tanzania, il Camerun, l’Honduras, il Nicaragua... L’argomento era irrefutabile: o consegnano l’acqua o non ci sarà clemenza per i debiti o nuovi prestiti. Gli esperti hanno anche avuto la pazienza di spiegare che non lo facevano per smantellare sovranità nazionali, bensì per aiutare la modernizzazione dei paesi che languivano nell’arretratezza per l’inefficienza dello stato. E se le bollette dell’acqua privatizzata non potevano essere pagate dalla maggioranza della popolazione, tanto meglio: magari così si sarebbe finalmente svegliata la loro assopita volontà di lavoro e di superamento personale. Chi comanda in democrazia? I funzionari internazionali dell’alta finanza, che nessuno ha votato? Alla fine dell’ottobre dell’anno scorso, un referendum ha deciso il destino dell’acqua in Uruguay. La maggior parte della popolazione ha votato, con una maggioranza mai vista, confermando che l’acqua è un servizio pubblico e un diritto di tutti. E’ stata una vittoria della democrazia contro la tradizione dell’impotenza, che ci insegna che siamo incapaci di gestire l’acqua o qualsiasi altra cosa, e contro la cattiva fama della proprietà pubblica, screditata dai politici che l’hanno usata e maltrattata come se ciò che è di tutti non fosse di nessuno. Il referendum dell’Uruguay non ha avuto nessuna ripercussione internazionale. I grandi media non sono venuti a conoscenza di questa battaglia della guerra dell’acqua, persa da quelli che vincono sempre; e l’esempio non ha contagiato nessun paese del mondo. Questo è stato il primo referendum dell’acqua e finora, che si sappia, è stato anche l’ultimo.
Eduardo Galeano “Le guerre mentono”
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Putin (un anno di guerra)
Putin
Il regime di terrore nazionale storico
Con qualche giorno d'anticipo pubblico questa riflessione riguardo l'imminente ricorrenza del 24 febbraio 2023 (un anno di guerra russo-ucraina).
Nonostante la complessità storica di ogni nazione, il succedersi di eventi storici più o meno determinanti, ha prodotto il profilo attuale di qualsiasi nazione (stato sovrano); con il 24 febbraio 2023 ricorrerà il triste anniversario di un anno di guerra in Ucraina. Non è facile parlare in modo obbiettivo dell'argomento, ed è estremamente difficile capire il popolo russo, non ritengo opportuno esternare una critica, ma preferisco esprimere un'opinione personale. Il modello zarista russo si origina nel 1480 circa sotto il governo di Ivan il Grande. Con l'incoronazione di Michele Romanov nel 1613 (primo della dinastia), probabilmente fu consolidato il modello politico giunto alla rivoluzione del 1917. Una tipologia politica notoriamente avvilente e penalizzante per la popolazione, siamo sicuri che non è mai stato un sistema di Monarchia Costituzionale! La monarchia assoluta (autocratica) non differisce molto da una dittatura politica, o come assistiamo con disprezzo e orrore attualmente, ha forti somiglianze con quei regimi teocratici estremisti e repressivi di tutto il medio oriente. Dopo tre secoli di soprusi del regime zarista, nel 1921, si instaura il nuovo regime totalitarista bolscevico teorizzato da Lenin di matrice comunista. Intanto in Italia e Germania si cominciavano a consolidare sistemi dittatoriali di estrema destra fascista. Così, il popolo russo si sottomette ad un sistema tirannico forse peggiore allo zarista, in parole povere: “salta dalla padella nella brace”! Tal regime vede avvicendarsi dittatori sempre peggiori, con periodiche recrudescenze politico-repressive. Nonostante l'apparente allentamento avvenuto con la presidenza di Boris Nikolaevič El'cin e Michail Gorbačēv, l'ascesa al potere di Vladimir Putin ha riportato la Russia nel baratro della più tetra dittatura. Inizialmente Putin era apparso moderato e parzialmente riformatore... nel 2014 aveva comunque manifestato le proprie intenzioni in Crimea. Il campanello d'allarme non è stato recepito correttamente dal mondo intero! Per poco più di un decennio, la Russia ha esportato inimmaginabili quantità di materie prime, favorendo lo sviluppo delle nazioni ricche e sviluppate, sostenendo e sostentando le realtà nazionali povere e meno sviluppate. In breve il mondo intero è diventato dipendente delle interminabili e incessanti forniture di grano, farina, olio, fertilizzanti, terre rare, minerali, metalli e pietre preziose, metalli rari, petrolio, gas ecc, che la Russia offriva e riversava sul mercato globale in quantità progressivamente crescenti. Il 24 febbraio 2022, Putin cosciente del potere acquisito, ha invaso il territorio ucraino con nostalgiche ragioni politiche mascherate dalla pazzesca giustificazione di “operazione speciale” necessaria alla “denazificazione” dell'Ucraina... Con questa Folgorata e dissennata iniziativa bellica, Putin il Deviato (come Ivan il Terribile oppure Trump lo Scoppiato, Biden il Gatto Morto ecc), ha trascinato il mondo intero in un precipizio finanziario spaventoso. Se fino a poco prima non era bastata la pandemia globale da Corona Virus, che aveva inflitto un duro colpo all'economia mondiale, la stupidità orgogliosa di un vecchio dittatore ha assestato al sistema il colpo di grazia... o quasi! Così, giunti all'anno di Grazia 2023, il popolo russo ha accettato e trascorso altri 100 anni alla mercé, ai capricci e alle scelleratezze di un sistema dispotico guidato da politici sempre più demodé, nonostante cattiveria e inaudita ferocia li abbia contraddistinti nel loro avvicendarsi. Cosa aspetta il popolo russo dopo 400 anni di sofferenze, costrizioni e restrizioni? Forse è in trepidante attesa che uno di questi fossili estremisti di matrice bolscevica trascini (oltre la Russia) tutto il mondo in fondo alla rovina? Putin minaccia il mondo? Va anche detto che il mondo lo lascia fare, è come se assecondasse lo svalvolato in attesa di poterlo afferrare per mettergli la camicia di forza! Non è facile affrontare una situazione così allucinante. Putin sembra uno di quei bevitori nei bar, quando ormai la lite tra ubriaconi degenera, minacciandosi a vicenda arrivano a dire anche le peggiori idiozie... si spera che Putin non vada a prendere il fucilino a casa per tornare al bar!
Angelo Meini
19-02-2023

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Avete mai visto quella serie di meme sugli Stati Uniti che invadono qualsiasi cosa se c’è un po’ di olio? Sappiamo benissimo che sono basati su delle storie reali di invasioni, golpe, destabilizzazioni e di covert operation progettate ad hoc dagli scranni del potere economico-militare di Washington che hanno colpito diversi - se non la maggior parte - dei paesi del mondo.
Nel 2019, in Bolivia, gli USA portano avanti il primo di quei golpe green-washed che piacciono tanto alle teste delle nuove industrie “verdi” che sfidano i vecchi babbioni delle industrie super-grigie del petrolio e del carbone. Il golpe in salsa latino-americana fatto in Bolivia fu rivendicato anche dall’attuale CEO della più discussa piattaforma social negli ultimi giorni, il quale affermò con totale nonchalance: “faremo golpe a chi vogliamo, fatevene una ragione”. Il motivo del golpe? Il litio di cui la Bolivia è ricchissima, che serve per le batterie dei veicoli elettrici (e non solo).
Sapete quale altro paese è ricchissimo di minerali rari distribuiti sull’80% del proprio territorio, con grandi depositi di magnetite, tungsteno, grafite, oro, molibdeno e molto altro? Proprio la Corea del Nord!
Secondo fonti sudcoreane e statunitensi, il valore di questi minerali (utilizzati per lo sviluppo di tecnologie sofisticate, dai cellulari ai missili guidati) supera i 10 trilioni di dollari: cifre che fanno gola anche alle élite del paese più forte del mondo. Nemmeno la Corea del Sud raggiunge quelle cifre, che sono almeno venti volte più alte rispetto a quelle del sud, appunto.
Eppure la Corea del Nord rimane più povera rispetto al Sud, nonostante la ricchezza delle proprie terre – come mai? I motivi vanno ricercati nelle sanzioni imposte alla RPDC che, purtroppo, impediscono al paese di esportare i suoi minerali all’estero e ai paesi esteri di acquistarli ed importarli. Inoltre, le stesse sanzioni impediscono alla Corea Popolare di acquistare a sua volta nuovi equipaggiamenti per l’escavazione e l’estrazione. A sua volta l’instabilità della rete elettrica, dovuta anch’essa alle sanzioni, che per anni ha colpito la nazione socialista non ha contribuito.
Il settore minerario rappresenta ben il 14% dell’economia del Nord e nel 2013, la RPDC superò il Vietnam come primo esportatore di antracite – cosa che garantì ben 1.4 miliardi di dollari di entrate nelle casse dello Stato. Molti attori economici esteri sono attratti da tutto ciò: non solo compagnie cinesi ma anche australiane, britanniche, malesi, singaporiane e di molti altri paesi si sono detti interessati dal potenziale delle risorse che la nord Corea possiede.
Il sunto di tutto: la Corea del Nord possiede trilioni di dollari di minerali che le permetterebbero di sviluppare l’economia e diventare un paese molto sviluppato e ricco, però gli Stati Uniti e i suoi alleati impongono sanzioni con la scusa delle armi nucleari (che loro stessi hanno – e sono gli unici ad averle mai utilizzate su civili innocenti!) e dei “diritti umani violati” per non far sviluppare quell’economia nel tentativo di far crollare il “regime”, installarne uno amichevole e sfruttare le risorse di quel paese a proprio piacimento.
Noi, che crediamo allo sviluppo in autonomia di ogni Paese e al multipolarismo, speriamo invece che la Corea Popolare riesca, con l’aiuto della Cina e di altri partner commerciali, ad utilizzare quelle risorse minerali per il bene del proprio popolo e per sviluppare un’economia stabile e indipendente.
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Il nuovo assalto all’Africa e la “crisi migratoria” in Europa
Nei giorni in cui in Puglia perdono la vita sul lavoro quindici braccianti africani, torniamo a denunciare il nuovo brutale assalto neo-coloniale all’Africa che è la causa prima di queste sventure, e la macchina di super-sfruttamento del lavoro dei proletari immigrati che funziona qui notte e giorno protetta da tutte le istituzioni dello stato, e per primo dall’infame governo Lega-Cinquestelle.
L’Italia è in prima fila in questo nuovo assalto all’Africa, in feroce competizione con gli altri banditi europei, e sta utilizzando una “crisi migratoria” in larga parte montata ad arte (per quello che riguarda l’Europa), per penetrare il più in profondità possibile con i propri capitali e i propri soldati e servizi segreti in Africa, e per schiacciare e spremere qui ancor più di prima quanti sono stati costretti ad emigrare dall’Africa e da tutto il Sud del mondo.
C’è un silenzio impressionante nella sinistra che si vuole antagonista o addirittura comunista su questi processi. Si ha paura di contrastare il “senso comune” dei proletari sempre più fortemente influenzato dal razzismo di stato, o di creare problemi a un governo che si presume amico o contenente degli amici (!!!). Noi questa paura non l’abbiamo, sicuri come siamo che il governo Salvini-Di Maio è un governo anti-operaio al 1000%, sicuri come siamo che i colpi inferti ai proletari immigrati sono inferti all’intera classe lavoratrice (che questo sia compreso oppure no dai singoli lavoratori, e anche dalla loro maggioranza), sicuri come siamo che i bisogni, gli interessi, le necessità, le speranze dei proletari autoctoni e immigrati sono fondamentalmente comuni. Divisi restiamo schiavi, solo uniti possiamo liberarci dal giogo sempre più insopportabile del capitale (nazionale e globale).
Il testo che pubblichiamo è stato scritto da un compagno del Cuneo rosso per il sito svizzero www.alencontre.org
https://pungolorosso.wordpress.com/2018/08/06/il-nuovo-assalto-allafrica-e-la-crisi-migratoria-in-europa/
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Negli ultimi mesi in Europa è esplosa la “crisi migratoria” sull’emigrazione dall’Africa proprio nel momento in cui questa è ai suoi minimi storici. Per cercare di spiegare questo paradosso, guarderò prima in Africa, poi in Europa e infine all’interazione tra l’una situazione e l’altra.
In Africa
Per quanto riguarda l’Africa, il dato da cui partire è questo: è in corso un nuovo “scramble for Africa”, uno scatenato assalto neo-coloniale alle risorse di minerali, energia, terra, acqua, sole, vento e di esseri umani dell’Africa sia araba che nera. Un nuovo saccheggio in grandissimo stile. Con alcune importanti differenze rispetto a quello che fu sancito dalla conferenza di Berlino del 1884-1885:
1) Questa volta l’assalto è globale perché l’Africa è il continente che dà più speranze, al capitale globale, di poter realizzare quel supplemento di energico sviluppo dell’accumulazione che appare altrove sempre più difficile da attuare – dopotutto, l’Africa è il solo continente in cui la popolazione, e la potenziale forza-lavoro da sfruttare, continua a crescere a ritmo molto rapido[1]. All’opera, quindi, non sono solo i tradizionali briganti europei, che restano comunque in prima fila. Accanto a loro, le multinazionali statunitensi (gli Stati Uniti sono i primi investitori in Africa per stock di capitale[2]) e le grandi banche e le grandi imprese cinesi, saudite, degli Emirati, indiane, turche. Non a caso gli investissements direct étrangers (IDE) verso l’Africa sono esplosi dai 10 miliardi di dollari circa del 2000 agli oltre 55 miliardi del 2015, facendo di questo continente la seconda destinazione mondiale degli IDE subito dopo la regione Asia-Pacifico.
2) Ai tavoli della nuova spartizione delle risorse africane sono ammesse stavolta pure le borghesie arabe e nere, allora pressoché inesistenti, che stanno capitalizzando (in parte) a proprio vantaggio il ciclo delle rivoluzioni e delle lotte anti-coloniali, espropriandone il frutto alle classi lavoratrici che le hanno combattute in prima persona.
3) Data la crisi dell’ordine internazionale uscito dalla seconda guerra mondiale e modificato, poi, dalla catastrofe del “socialismo reale”, dato quindi il grande disordine internazionale del momento, non è prevista né è prevedibile una nuova spartizione formale dell’Africa, alcun “pacifico” accordo tra gli assalitori. Ciò rende l’assalto dei grandi poteri “civilizzatori” ancor più brutale, se fosse possibile, di quello di fine ottocento.
4) I mezzi dell’assalto neo-coloniale all’Africa sono diventati più sofisticati e diversificati. Certo, sta crescendo in Africa e alle soglie dell’Africa, la presenza militare dei neo-colonizzatori sotto forma di truppe statali e private, basi militari, “consiglieri” dei servizi segreti di mezzo mondo. Ma non si tratta solo di questo, delle guerre scatenate direttamente dall’Occidente e delle guerre civili o di secessione in cui c’è la longa manus delle potenze imperialiste, tra cui l’Italia. Si tratta anche, e direi soprattutto, dello strangolatorio debito estero, che per i paesi dell’Africa sub-sahariana è passato dai 13 miliardi di dollari del 1973 ai 450 miliardi di oggi. Si tratta del land grabbing – oltre il 50% delle terre rapinate con questo metodo nei continenti di colore si trova in Africa, per un ammontare di oltre 30 milioni di ettari (pagati dai 2 ai 10 dollari l’uno…), con una progressione del fenomeno del 1000% in venti anni. Si tratta della trasformazione dell’agricoltura africana, sotto il dominio dell’agribusiness, in un’agricoltura che vive per l’esportazione, non per accrescere la autosufficienza alimentare delle popolazioni locali; delle monoculture intensive imposte a molti paesi africani per la produzione di bio-carburanti, legno, etc.; della vendita sottocosto dei prodotti agricoli statunitensi ed europei sovvenzionati, che mette fuori mercato la produzione agricola locale; della sistematica rapina del pescato africano. Si tratta, poi, dell’organizzazione della tratta di donne da inabissare nella prostituzione (anche in questo caso le catene di comando e i consumatori finali sono qui in Europa e nei paesi più ricchi). E, ancora, del cosiddetto brain drain di laureati africani, medici anzitutto, denunciato vent’anni fa da Coutrot e Husson[3]. Per non parlare del più tradizionale ma non meno devastante saccheggio delle materie prime, nel quale contano oggi più della gomma e dell’oro il petrolio, il gas, il coltan, i metalli rari di cui l’Africa è ricchissima, in certi casi quasi-monopolista per volontà di madre natura. E a tutto ciò si debbono aggiungere gli effetti indiretti sul continente africano dell’iper-sviluppo capitalistico globale, la desertificazione, la siccità, le carestie prodotte dai cambiamenti climatici – di cui l’Africa ha sofferto finora più di ogni altro continente.
Quest’insieme di processi interconnessi sta producendo un movimento migratorio interno all’Africa di proporzioni rapidamente crescenti. È in atto lo svuotamento progressivo delle campagne – con la rovina dell’agricoltura di sussistenza, che tuttora dà da mangiare a un terzo degli abitanti dell’Africa -, e la nascita di enormi megalopoli (la sola Lagos ha 23 milioni di abitanti) e di un gran numero di centri urbani[4]. Appena dieci anni la stragrande maggioranza degli spostamenti migratori dell’Africa avveniva dentro il continente; quelli verso l’Europa erano in aumento, ma restavano abbastanza ridotti se paragonati ai movimenti infracontinentali (vedi la Mappa 7.1)[5]. L’emigrazione africana di massa verso l’Europa era ancora largamente confinata all’emigrazione dai paesi arabi del Nord, mentre l’emigrazione dall’Africa sub-sahariana era molto limitata e composta per lo più da persone con livello di scolarizzazione medio-alto[6]. Nell’ultimo decennio la situazione è fortemente cambiata. Si è intensificato il processo di urbanizzazione legato a forme di modernizzazione e di sviluppo capitalistico dipendente delle economie e delle società sub-sahariane; contemporaneamente si sono molto irrigiditi i confini tra gli stati africani, un tempo assai labili, e si sono diffuse politiche a sfondo nazionalistico, se non proprio razzista, contro gli immigrati provenienti da altri paesi africani (caso-limite il Sud Africa degli ultimi anni, con diversi sanguinosi pogrom). All’oggi si tratta di decine di milioni di emigranti, che trovano pochi sbocchi lavorativi stabili nelle città perché finora non si è dato in Africa un vero e proprio processo di industrializzazione[7], e tanto meno di industrializzazione forte e diffusa come nella Cina costiera delle zone speciali, che è stato in grado di assorbire in trenta anni quasi 200 milioni di emigranti interni.
La spinta a lasciare le campagne, allargandosi, ha coinvolto strati sociali poco scolarizzati o perfino analfabeti – non si deve dimenticare che i piani di ristrutturazione del debito imposti da FMI e BM hanno demolito in molti paesi l’istruzione superiore e colpito ovunque i livelli di scolarizzazione più elementari. Essendo sempre più ostacolata e complicata l’emigrazione intra-africana, il movimento migratorio si è rivolto in modo più pressante verso l’estero: l’Europa, il Nord America, il Golfo Persico (dove si è imbattuta nella concorrenza degli emigranti dall’Asia), l’Asia stessa, con crescenti difficoltà, però, a raggiungere il continente europeo a causa delle rigide politiche restrittive, repressive, selettive adottate dall’Unione europea, inclusi i paesi di antica colonizzazione, Francia e Regno Unito[8]. Come innumerevoli documenti testimoniano, ci sono masse di giovani donne e uomini africani disposti a tutto pur di riuscire ad approdare in un qualche punto del suolo europeo attraverso percorsi che possono durare anni, perché non hanno un’alternativa preferibile[9]. Percorsi drammatici, spesso tragici, se si considera che negli ultimi 15 anni il Mediterraneo è diventato la tomba di almeno trentamila emigranti africani, la “via migratoria” più pericolosa del mondo.
In Europa (nelle alte sfere)
Mentre in Africa la spinta migratoria verso l’estero è all’apice, in Europa siamo invece all’acme della ostilità pubblica/statale e privata verso i rifugiati, gli emigranti e gli immigrati dall’Africa. All’acme dell’allarme: è in corso un’invasione di africani! Dobbiamo fermarli in Africa! Lo slogan del capo della Lega Salvini, diventato ministro di polizia del governo italiano, ha una larghissima eco nell’Est Europa, in Austria, ma anche nei paesi i cui governi apparentemente si smarcano dalla sua violenza verbale.
Alla fine, si è materializzato l’effetto-valanga.
In Europa l’ascesa del discorso pubblico contro gli immigrati dura infatti da decenni. Già nei primi anni ’70 il FN lepenista aveva messo in circolazione l’abile slogan “alt à l’immigration sauvage”. Negli anni ’80 e ’90 le viscide tematiche del razzismo differenzialista avevano preso piede in modo lento ma inesorabile prima nelle università, poi un po’ dovunque, ad anticipare e legittimare le pratiche stigmatizzanti e discriminatorie attualmente in voga. All’alba del nuovo secolo, lo scoppio della “guerra infinita al terrorismo” dopo gli attentati dell’11 settembre a New York si era tradotto in un’ossessiva crociata contro le popolazioni di origini “islamiche” presenti in Europa, da cui è nato, tra l’altro, il massacro di Oslo del luglio 2011, opera del fondamentalista ariano-cristiano Breivik. Da allora, al di là delle dichiarazioni di facciata, il razzismo istituzionale contro gli immigrati, fatto di leggi, circolari, prassi discriminatorie e di controllo, si è inasprito. E le forze della nuova destra che se ne sono fatte promotrici sono uscite da una dimensione residuale o minoritaria, riuscendo ad andare al governo in Norvegia, Ungheria, Polonia, Austria e da ultimo in Italia, sfiorando questo obiettivo in Francia, e ponendo comunque all’ordine del giorno, al centro della scena pubblica (nel Regno Unito, in Germania e in Olanda) la necessità di una politica aggressivamente restrittiva contro gli immigrati.
Come ha notato Liz Fekete nel suo Europe’s Fault Lines: Racism and the Rise of the Right (Verso, 2018), questa marcia trionfale delle destre xenofobe e razziste europee è stata favorita in vari modi dagli apparati di repressione statali e privati, e dal sistema dei mass media che è nelle mani del grande capitale. Ma la complicità tra le forze che si professano demagogicamente “anti-sistema” e i circoli capitalistici più potenti non ha nulla di sorprendente, se si fa mente locale alle forze che promossero e facilitarono l’ascesa del nazi-fascismo negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso. Anche il richiamo all’effetto-valanga che ho fatto prima, sebbene utile, non mi sembra risolutivo, in quanto rimane da sciogliere l’interrogativo: quali sono le ragioni di fondo dell’inarrestabile inasprimento delle misure dell’Italia e dell’intera UE contro gli emigranti dal continente africano, ad appena tre anni dalla apertura delle frontiere tedesche a un milione di profughi e richiedenti asilo (per lo più) siriani?
A me sembrano le seguenti. La prima è che si è già formato in Europa un esercito di riserva ampio a sufficienza per non aver bisogno di nuove massicce immissioni di immigrati paragonabili a quelle degli anni ’90 e dei primi dieci anni del secolo. Infatti da un decennio l’UE procede a un tasso di accumulazione molto ridotto rispetto ai suoi principali concorrenti (Cina e Stati Uniti) e, a colpi di contro-riforme del mercato del lavoro, ha ormai creato un vastissimo contingente di lavoratori e lavoratrici ultra-precari e sotto-remunerati, immigrati e autoctoni, da cui le imprese possono attingere a volontà per i loro fabbisogni. La seconda è che l’attuale emigrazione dall’Africa nera, a differenza di quella dei passati decenni, è composta in larga prevalenza da forza-lavoro scarsamente scolarizzata – l’ha esplicitato il capogruppo a Strasburgo del Partito popolare europeo, Manfred Weber: “i migranti africani non hanno le competenze lavorative che servono a paesi come Germania e Olanda. E la loro formazione sarebbe troppo costosa per l’Europa”. Per paesi come l’Italia o la Spagna, invece, possono servire nelle campagne e nelle attività di manovalanza (a 2-3 euro l’ora), ma anche qui in misura inferiore rispetto al passato. La terza e fondamentalissima ragione è che la presunta invasione di africani in atto è un eccellente pretesto per militarizzare il Mediterraneo (fuori dai piedi le ONG, restino esclusivamente le navi militari), con il segretario della NATO Stoltenberg pronto a rafforzare il pattugliamento e inviare truppe in Libia e altrove, e creare in Libia, Niger, Mali un sistema di campi di concentramento finalizzato a fermare e filtrare i “veri” richiedenti asilo, e riempire l’Africa del Nord (e poi via via a scendere…) di contingenti militari italiani, europei, NATO, per rimettere sempre più “gli stivali sul terreno” africano da contendere al concorrente cinese e a tutti gli altri.
Ma sono convinto che nelle alte sfere dell’UE si ragioni da anni, in luoghi riservati, anche su un altro aspetto della questione. Prima in Egitto e in Tunisia negli anni 2011-’12, successivamente in Sud Africa, Ciad, Liberia, Mozambico, Marocco, Lesotho, Etiopia, Tanzania, Algeria, Burundi, Zimbabwe[10], si è verificata in Africa da Nord a Sud, da Est a Ovest, un’intensa serie di lotte economiche e politiche della classe operaia e degli sfruttati. E i capitalisti e i governanti europei che godono da un po’ di una sostanziale pace sociale, non sentono il minimo bisogno di importare qui soggetti pericolosi – in Italia sono stati proprio i proletari arabi e africani ad animare con forza le lotte nella logistica. Che restino laggiù a sbollire i loro spiriti con l’effetto deprimente della disoccupazione e delle pene dell’economia informale, così faranno scendere anche il valore della forza-lavoro africana, che gli usurai globali giudicano eccessivamente alto, dal momento che deve compensare le inefficienze delle strutture e delle infrastrutture statali[11].
In Europa (tra i lavoratori)
In Italia e in Europa questo virulento razzismo delle istituzioni capitalistiche, in specie le tematiche agitate dalle destre più aggressive (in Italia la Lega e Casa Pound), hanno avuto negli ultimi anni crescente presa nelle classi lavoratrici. Il che consente al governo Lega-Cinquestelle e ai governi di questo stampo di mettere in atto un rovesciamento del rapporto causa-effetto: le politiche di stato contro gli immigrati africani che sono dettate, lo si è visto, da interessi totalmente capitalistici e neo-coloniali, e sono il propellente primo della diffusione del razzismo a livello popolare, possono essere camuffate da politiche di difesa degli autoctoni, di tutti gli autoctoni (“prima gli italiani!”, “prima gli austriaci”), soprattutto dei più deprivati tra loro, e presentate come volute essenzialmente da loro.
La crescente presa delle tematiche razziste si spiega con il vasto, spesso acuto, malcontento sociale generato da quaranta anni di politiche di stato anti-operaie e di offensiva capitalistica nei luoghi di produzione, che hanno fatto aumentare in modo esponenziale precarietà e disoccupazione, prodotto un’illimitata intensificazione delle prestazioni lavorative, la corrosione del tessuto connettivo sociale con processi estesi di atomizzazione, emarginazione, diffusione delle droghe, etc. E si spiega anche con l’abbattimento della conflittualità operaia e proletaria e la progressiva decomposizione fisica e ideologica delle strutture del vecchio movimento operaio. Incunearsi in una situazione del genere e catalizzare, oltre pezzi rilevanti di ceti medi, anche settori operai e proletari intorno alla propaganda anti-immigrati è stato – in assenza di lotte, lo ripeto – relativamente agevole. Volta a volta gli emigrati dai paesi dell’Est (rumeni, albanesi e i celebri idraulici polacchi), poi gli emigrati dai paesi arabi e di cultura islamica candidati in massa al “terrorismo jihadista”, i rom, i cinesi, i richiedenti asilo “scrocconi” per definizione, gli africani dei paesi sub-sahariani che “ci” minacciano di invasione come gli antichi barbari, etc., sono diventati il capro espiatorio del momento fino a trasformarsi nella sola, o nella principale, causa generatrice del malessere sociale. Sulla base di clamorose falsificazioni dello stato dei fatti, certo; ma anche di reali dati di fatto, come l’oggettiva funzione di compressione dei salari e dei diritti che ha per stato di necessità la forza-lavoro di immigrazione (in assenza di lotte), oppure – specie in Italia – il coinvolgimento di una (piccolissima) frangia di immigrati per lo più irregolari nelle attività della criminalità organizzata, anzitutto nello spaccio al dettaglio delle droghe.
Le forze più accorte della destra aggressivamente razzista combinano questa propaganda con la denuncia dei vertici dell’UE e dei potentati “globalisti”, accusati di usare gli immigrati contro gli autoctoni per uccidere le identità nazionali e peggiorare le loro condizioni di esistenza, e di preferire le attività speculative a quelle produttive. Il nemico è, in entrambi i casi, lo straniero, quello interno e quello esterno, secondo una metodica consolidata che risale al Mein Kampf hitleriano, nel quale il nemico-ebreo ha due volti: il proletario internazionalista e marxista, e il finanziere “mondialista”, figure sociali del tutto antitetiche, ma “unificate” nella velenosa propaganda nazista dalla comune appartenenza “razziale”. Il successo che sta ottenendo in Italia la Lega è legato anche all’uso spregiudicato di questa retorica diffusa su larghissima scala con gli ultimi mezzi di comunicazione di massa – la pagina facebook di Salvini ha oggi oltre due milioni e ottocentomila seguaci…
La progressiva ascesa del discorso pubblico anti-immigrati, delle politiche di stato che lo hanno tradotto in pratica tanto ad opera della vecchia destra che dei governi di centro-sinistra, e delle forze che hanno avviato/promosso il nuovo corso politico europeo sempre più esplicitamente razzista, ha messo capo a un messaggio martellante che unisce oggi tutti gli stati e i governi europei: basta immigrati! Da qui la rigida chiusura delle frontiere europee contro la temuta invasione dall’Africa, respingimenti in mare delle imbarcazioni, rafforzamento della polizia europea di frontiera Frontex, costruzione nel nord dell’Africa di una catena di kampi (oltre quelli macabri già esistenti) e di muri per sbarrare il passo alle “orde” di emigranti – dopo avere bloccato l’accesso dalla Turchia d’intesa con Erdogan. Su queste basi il nuovo governo italiano Lega-Cinquestelle ha scatenato una querelle sulla assoluta necessità di ripartire gli emigranti che riusciranno comunque a raggiungere il sacro suolo europeo. A seguire, il ministro dell’interno tedesco Seehofer si è a sua volta esibito in una denuncia dai toni apocalittici: economia, società, identità, storia nazionale della Germania coleranno a picco se l’Italia e la Grecia non si riprenderanno i 63.691 rifugiati oggi presenti nel suo paese, ma entrati nell’UE altrove. Per non menzionare gli Orban, Morawiecki, Kurz e gli altri campioni delle nuove pulizie etniche. La situazione in Europa è diventata così grave che il nuovo premier spagnolo Sanchez rischia di sembrare un eroe dell’umanitarismo per avere permesso alla nave Aquarius vergognosamente respinta dall’Italia di approdare a Siviglia, naturalmente solo dopo aver ottenuto adeguate garanzie sulla ripartizione (in 9 paesi!) dei suoi 629 richiedenti asilo…
Concludendo (oltre l’oggi)
Allargando lo sguardo al mondo intero, l’attuale crisi migratoria in Africa e in Europa appare solo un aspetto della catena di contraddizioni/convulsioni che scuotono un sistema economico e sociale sempre meno sostenibile per la natura e l’umanità lavoratrice. I poteri forti globali e i loro governi non hanno a disposizione nessuna reale soluzione per queste “singole” crisi. Basta vedere quello che accade in questi giorni in Europa dove partiti fratelli, se non gemelli, nella loro infame ideologia, come quelli di Orban, Kurz e Salvini, si collocano su posizioni opposte quando si tratta della possibile revisione dell’accordo di Dublino o della suddivisione dei costi della militarizzazione delle frontiere.
Il governo trumpista Salvini&Di Maio che oggi guida l’Italia si candida ad essere l’avamposto della UE nella guerra contro gli emigranti dall’Africa, e gli immigrati già presenti sul suolo italiano ed europeo. La sua politica d’attacco è a più strati (o anelli) tra loro collegati in un unitario disegno anti-proletario: contro gli emigranti dall’Africa moltiplicando muri, divieti, pericoli, costi, setacci per selezionarli e farli arrivare qui terrorizzati, piegati, pronti a essere supersfruttati; contro i reclusi nei centri di detenzione, educandoli ad accettare una condizione servile attraverso l’abitudine al lavoro gratuito; contro i sans papiers, con la minaccia di espellerli dall’Italia, per costringerli a spezzarsi la schiena e astenersi da ogni forma di protesta; contro gli immigrati regolari, colpiti da nuove discriminazioni (i loro figli non potranno avere accesso gratuito agli asili nido, gli immigrati disoccupati sono esclusi dal “reddito di cittadinanza”, se mai ci sarà) e da una propaganda di stato che li presenta come un peso per le casse pubbliche e la principale fonte del malessere sociale. Infine, contro i proletari autoctoni per creare un fossato incolmabile di diffidenza, sospetto, ostilità, odio tra le due sezioni del proletariato, che indebolisce entrambe davanti all’aggressione dei “mercati globali”, dei padroni, degli organi dello stato.
Al momento questo governo ha il vento in poppa, con il 63% del gradimento “popolare”, e nessuna opposizione in parlamento e nella società. La sua forza, però, è quasi esclusivamente nella debolezza del movimento proletario, nella stasi delle lotte, nell’assenza di una piattaforma e di una azione politica di classe capaci di unire autoctoni e immigrati in uno stesso fronte di lotta. Se riprenderanno le lotte; se i lavoratori immigrati saranno parte integrante e militante di queste lotte, come già più volte è avvenuto; se forze di classe anche limitate metteranno in campo una politica sull’immigrazione e su tutto il resto capace di contrapporsi da cima a fondo all’azione del governo, dello stato e dell’UE; la scena cambierà, bruscamente. Il malcontento sociale che oggi è utilizzato in modo demagogico da Lega e Cinquestelle gli si potrà rovesciare contro. Dopotutto, ciò che unisce gli sfruttati, emigranti, immigrati o autoctoni che siano, è immensamente più profondo e forte di ciò che li divide.
Ma la risposta di lotta ai governi tipo quello Lega&Cinquestelle in Italia non dovrà assolutamente disertare le tematiche che, a partire dalle attuali “crisi migratorie”, mettono in discussione il sistema sociale capitalistico in quanto tale, e la sua macchina di dominazione neo-coloniale. Oltre a battersi contro le politiche migratorie restrittive e repressive degli stati e ogni forma di discriminazione ai danni delle popolazioni immigrate, i rivoluzionari internazionalisti debbono dire chiaro e forte che sono contro le migrazioni forzate, quali sono la pressocché totalità delle migrazioni contemporanee. E sanno bene cosa va fatto per rimuoverne le cause. Certo, il processo è complicato, data la loro profondità storica e il loro carattere strutturale. E per avanzare in questa direzione saranno necessari grandi scontri e giganteschi sconvolgimenti sociali. Ma tanto per cominciare, si dovrebbe: 1) azzerare il debito estero dei paesi africani; 2) ritirare immediatamente dall’Africa le truppe di stato e private italiane ed europee, i consiglieri militari, gli addestratori di truppe e di polizie; 3) restituire le terre razziate con il land grabbing; 4) cessare di inondare l’Africa con i prodotti agricoli sovvenzionati europei che distruggono l’agricoltura locale; 5) finirla di appropriarsi del pescato dei loro mari; 6) ridiscutere su basi paritarie e di effettiva reciproca utilità i commerci in atto; 7) avviare un processo di restituzione del plurisecolare maltolto, e così via. E, prima di tutto, spezzare il silenzio sulle lotte operaie e popolari, sulle resistenze al neo-colonialismo in corso in Africa, e sostenerle con ogni mezzo.
NOTE
[1] Akinwumi A. Adesina, presidente della Banque africaine de développement, afferma: “Aujourd’hui, l’Afrique est, sans conteste, le lieu privilégié pour faire affaires. Nous avons une jeune population en plein essor et une demande grandissante des biens de consommation, de produits alimentaires et de services financiers. Tous ces facteurs conjugués font de l’Afrique une destination commerciale et industrielle attrayante pour le secteur privé” – Groupe de la Banque Africaine de développement, Industrialiser l’Afrique, 2018, p. 4. Su questi stessi temi insiste anche il direttore generale dell’UNIDO Li Yong in “Africa, un’industrializzazione non più rinviabile”, il sole 24 ore, 2 febbraio 2017, che oltre a parlare del “profilo demografico favorevole”, vanta gli elevati tassi di urbanizzazione del continente e “una diaspora altamente istruita”.
[2] Cfr. UNCTAD, World Investment Report 2018, Geneva, 2018. p. 38, figure A. Il 66% dei capitali statunitensi è investito nella estrazione di minerali. Tra i paesi europei primeggiano il Regno Unito e la Francia, ma l’Italia è in forte recupero – nel 2016 è stata il primo investitore europeo, anzitutto con l’ente petrolifero di stato ENI.
[3] T. Coutrot – M. Husson, Les destins du tiers monde, Nathan, 1993. Ai medici e agli infermieri africani vengono offerti negli Stati Uniti (e nei paesi europei) salari fino a venti volte superiori ai loro salari nei paesi di nascita.
[4] In Africa il processo di urbanizzazione non è limitato alla formazione di megalopoli; altrettanto significativa è la rete sempre più fitta di piccole e medie città: UN-Habitat, State of African Cities 2014. Re-imagining sustainable urban transitions, Nairobi, 2014.
[5] S. Castles – M.J. Miller, The Age of Migration. International Population Movements in the Modern World, Palgrave McMillian, 2009, cap. 7.
[6] O. Bakewell – H. de Haas, “African Migration: Continuities, Discontinuities and Recent Transformation”, in African Alternatives a cura di P. Chabal, U. Engel e L. de Haan, Brill, 2007, pp. 95-117.
[7] Negli ultimi tre decenni, anzi, “l’Africa sub-sahariana ha subìto una de-industrializzazione di proporzioni epocali. Milioni di posti di lavoro sono spariti senza che nulla li sostituisse”: “Perché l’Africa non decolla”, L’Internazionale, 13 luglio 2018, p. 49 (è la traduzione di un articolo tratto da Die Zeit).
[8] M.-L. Flahaux – H. de Haas, “African migration: trends, patterns, drivers”, Comparative Migration Studies (2016) 4:1, pp. 1-25
[9] Mi limito a citare la testimonianza del cittadino della Repubblica democratica del Congo Emmanuel Mbobela (Rifugiato. Un’odissea africana, Agenzia X, 2018) che, pur disponendo di buoni mezzi materiali e altrettanti sostegni, ha impiegato 6 anni per mettere piede in Olanda.
[10] Patrick Bond, in “Obsolete Economic Ideas and Personnel Corruption Are Closely Linked in Africa”, intervista data a Mohsen Abdelmoumen, pubblicata in American Herald Tribune, 10 giugno 2017, osserva che “in the top 30 countries in terms of labour militancy” ci sono ben dodici paesi africani.
[11] Può sembrare incredibile, ma questa tesi, la tesi di salari medi africani eccessivamente alti, è chiaramente espressa in J. Cilliers, Made in Africa. Manufacturing and the fourth industrial revolution, Institute for Security Studies, aprile 2018, p. 11.
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La Cina alla conquista delle terre…rare
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La Cina alla conquista delle terre…rare

Nell’ultimo periodo, lo sviluppo impressionante di alcuni settori ha reso l’economia di molti paesi strettamente dipendente dalla disponibilità di alcune risorse naturali. Alcune note e quasi ovvie (ad esempio, le risorse energetiche), altre meno. Tra queste un ruolo di primissimo piano è occupato dalle cosiddette terre rare (o REE, Rare Earth Elements): 17 elementi chimici (Ittrio, Scandio, Lantanio, Cerio, Praseodimio, Neodimio, Promezio, Samario, Europio, Gadolinio, Terbio, Disprosio, Olmio, Erbio, Tulio, Itterbio e Lutezio) fondamentali per l’industria moderna. Sono indispensabili per molti settori: dagli smartphone alle macchine elettriche, dai computer alle turbine eoliche, dall’industria petrolchimica a quella del vetro, a quella aerospaziale e persino alla medicina. Per questo motivo, questi elementi rientrano nei cosiddetti “metalli tecnologici”, cioè quegli elementi del gruppo dei “metalli” (sulla tavola periodica) richiesti e utilizzati in ambito tecnologico (altri esempi famosi in questo campo sono l’oro e l’argento, ottimi conduttori, perfetti per i dispositivi elettronici; il palladio, l’osmio, ma ci sono anche il platino, l’iridio, il rutenio e il rodio). Sono così importanti che, nel 2017, un rapporto della Banca Mondiale disse che la domanda di questi elementi avrebbe continuato a crescere in modo rilevante.
A rendere questi elementi “rari” è la difficoltà di trovarli in alte concentrazioni. Questo rende il processo di estrazione in quantità industriali costoso (oltre che, come vedremo, estremamente dannoso per l’ambiente). E scatena gli appetiti dei grandi compratori che fanno di tutto per accaparrarsi i siti dove la loro concentrazione è maggiore. I giacimenti di terre rare sono classificati in due grandi gruppi: “giacimenti primari” e “giacimenti secondari”. I primi sono quelli che contengono minerali, nei quali sono presenti terre rare, che si sono cristallizzati direttamente dal magma dei vulcani. Mountain Pass (USA) è il giacimento primario di REE più importante al mondo. I giacimenti secondari, invece, sono quelli che si originano da alterazione di magma già solidificato. Il giacimento di questo tipo più famoso è quello di Bayan Obo, in Cina.
Aspetto non trascurabile è l’impatto sul territorio legato all’estrazione dei minerali di terre rare: per separarle dagli altri minerali vengono utilizzati acidi che hanno effetti devastanti sull’ambiente. Anche i passi successivi (devono essere filtrate e ripulite) sono decisamente poco “verdi”. A questo si aggiunge che la loro lavorazione emette prodotti tossici e (a volte) radioattivi. In genere gli effetti di questi processi estrattivi sull’ambiente è devastante: in Cina, dopo l’estrazione delle terre rare, i siti da cui sono state estratte non possono essere utilizzati per scopi agricoli. Anche le risorse idriche appaiono contaminate. Sanare l’ambiente inquinato da questi processi estrattivi richiede tempi lunghissimi: in Cina, c’è chi ha previsto che saranno necessari decenni, in qualche caso o addirittura secoli, per “pulire” i siti estrattivi.
Questo significa che ove possibile, si preferisce estrarre le terre rare dove i governi non si curano più di tanto degli effetti sull’ambiente. É un fattore determinante se non addirittura “strategico”. In un rapporto dell’esercito americano del 2019 si legge: “La Cina è meno gravata da requisiti normativi ambientali o di lavoro che possono aumentare notevolmente i costi sostenuti per l’estrazione e la produzione di prodotti di terre rare”.
Le maggiori riserve di terre rare si trovano in paesi come Cina, Russia, Stati Uniti, Australia, Brasile, India, Malesia, Tailandia, Vietnam, Canada e Sudafrica. Nella prima metà del Novecento la maggior parte delle terre rare proveniva da giacimenti indiani e brasiliani. Poi, negli anni Cinquanta, il primo produttore mondiale divenne il Sudafrica. Poco dopo questo primato passò nelle mani degli Stati Uniti. Dagli anni Novanta, la Cina ha fatto di tutto per assumente il monopolio (o quasi) dell’estrazione di terre rare. Oggi il più grande sito di produzione è Bayan Obo, nella Mongolia interna. Altri depositi (più piccoli ma pur sempre importanti) sono nelle province cinesi di Shandong, di Sichuan, di Jiangxi e di Guangdong.
Questi 17 elementi sono diventati un “imperativo geopolitico” e sono stati causa di tensioni tra Usa e Cina. Nel 2019, il presidente cinese Xi Jinping minacciò di tagliare le importazioni di terre rare come rappresaglia contro l’opposizione degli Stati Uniti a Huawei.
La Cina estrae circa il 60% delle terre rare e ne lavora e raffina circa l’80% di tutto il pianeta. Grazie ad alcune scelte strategiche importanti (costruire i centri di produzione e raffinazione nei pressi delle miniere) e al basso costo per la salvaguardia dell’ambiente e per la manodopera, controlla il mercato internazionale. Ciò è stato possibile grazie all’acquisizione dei diritti esclusivi di estrazione in molti paesi africani (in cambio di promesse per lo sviluppo e la costruzione di infrastrutture). Ad esempio, nella Repubblica Democratica del Congo. O in Kenya, dove la Cina ha promesso investimenti per quasi 700 milioni di dollari per la costruzione di un data-center e di un’autostrada. Grazie al controllo del mercato mondiale delle terre rare monopolio, le principali economie mondiali sono di fatto dipendenti dalle importazioni cinesi: l’80% delle importazioni negli Stati Uniti e il 98% delle importazioni nell’UE provengono dalla Cina. A poco sono servite le contromisure (peraltro tardive) adottate, ad esempio, dai paesi dell’UE. Eppure, già nel 2013, l’Unione Europea aveva inserito questi elementi nell’elenco dei “materiali grezzi critici per la strategia”. Ora, il tentativo dell’Unione europea di ridurre la propria dipendenza quasi totale dalla Cina dovrebbe basarsi sullo sfruttamento dei depositi di terre rare presenti sul territorio e sul riciclaggio, oltre che, come confermato nel settembre 2020, su nuovi partenariati strategici con i – pochi – paesi africani ancora liberi. Lo steso cercano di fare gli USA stipulando accordi per sfruttare i giacimenti di terre rare in Australia. Tentativi che non hanno avuto altri effetti se non quello di accrescere la presenza della Cina in Africa.
Nelle scorse settimane, in Cina, è nato il gigante mondiale delle terre rare, frutto della fusione delle principali aziende di proprietà statale. A darne la notizia, nei giorni scorsi, l’AD di China Minmetals Rare Earth, il braccio delle terre rare di China Minmetals Corporation. Le società coinvolte nella fusione sono China Minmetals Rare Earth, Aluminum Corporation of China (Chinalco) e Ganzhou Rare Earth Group. Ciascuno di essi deterrà il 20,33% nel nuovo gruppo, mentre la Commissione statale per la supervisione e l’amministrazione dei beni deterrà il 31,21%. China Minmetals Rare Earth e Chinalco sono due delle “Big Six” imprese statali che dominano l’industria delle terre rare in Cina.
Scenarieconomici.it
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Estrazione di metalli rari negli abissi marini

Scoperta eccezionale: noduli polimetallici che producono ossigeno nel fondo marino. L'estrazione mineraria in ambienti così remoti e profondi potrebbe avere conseguenze devastanti sugli ecosistemi marini. La scoperta di nuove fonti di ossigeno nel mare rappresenta un avanzamento scientifico che potrebbe trasformare la nostra comprensione dell’ecologia marina e le dinamiche ambientali associate all’estrazione mineraria sottomarina. Recentemente, uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Geoscience ha svelato una scoperta sorprendente: i noduli polimetallici, minerali rari situati sul fondo marino, sono in grado di produrre ossigeno, definito “ossigeno scuro” dagli autori dello studio. I Noduli Polimetallici I noduli polimetallici sono strutture minerali che si formano sul fondo marino, tipicamente in pianure abissali, aree oceaniche caratterizzate da profondità estreme e copertura di sedimenti. Questi noduli, di dimensioni variabili e spesso ricoperti da uno strato di sedimenti marini, sono composti principalmente da ossidi di ferro e manganese, due minerali abbondanti nei fondali oceanici profondi. Tuttavia, la loro composizione non si limita a questi elementi; i noduli contengono anche metalli preziosi come il cobalto e una varietà di elementi di terre rare, che sono essenziali per la produzione di tecnologie avanzate e a basse emissioni di carbonio, come le batterie agli ioni di litio e i pannelli solari.

Questo rende i noduli polimetallici un obiettivo ambito per l’estrazione mineraria d’altura, una pratica che sta guadagnando attenzione a causa della crescente domanda di metalli tecnologici. Tuttavia, l’estrazione mineraria in queste profondità estreme comporta sfide significative, tra cui la difficoltà di raggiungere il fondo marino, l’uso di tecnologie specializzate e, soprattutto, le preoccupazioni ambientali associate alla perturbazione di ecosistemi marini delicati e poco conosciuti. La complessità dell’ecosistema profondo, insieme alla mancanza di dati sufficienti sugli impatti a lungo termine, ha sollevato interrogativi sulla sostenibilità di tali operazioni e sulle possibili conseguenze per la biodiversità marina e la salute degli habitat. Importanza economica ed ambientale L’estrazione dei noduli polimetallici potrebbe rappresentare una svolta economica significativa, offrendo accesso a risorse minerarie preziose e rare che sono cruciali per l’industria tecnologica moderna. Questi metalli sono componenti chiave per una serie di tecnologie avanzate, dalla produzione di veicoli elettrici a basse emissioni di carbonio, fino alla realizzazione di dispositivi elettronici di ultima generazione. Tuttavia, l’interesse economico per l’estrazione di questi noduli deve essere bilanciato con una valutazione approfondita dei potenziali effetti ambientali. L’estrazione mineraria in ambienti così remoti e profondi potrebbe avere conseguenze devastanti sugli ecosistemi marini, che sono già vulnerabili a cause di stress ambientali come il cambiamento climatico, l’acidificazione degli oceani e l’inquinamento. Le operazioni minerarie potrebbero perturbare il delicato equilibrio ecologico, distruggere habitat critici, alterare i cicli nutrizionali e causare la perdita di biodiversità in questi ecosistemi complessi e poco studiati. La difficoltà di monitorare e valutare gli impatti ambientali in queste aree remote rende urgente la necessità di sviluppare e implementare pratiche di estrazione mineraria più sostenibili e di approfondire la nostra comprensione degli effetti potenziali di tali attività. La scoperta dell’Ossigeno Scuro La recente scoperta che i noduli polimetallici possono produrre ossigeno è stata ottenuta grazie al lavoro di Andrew Sweetman e dei suoi colleghi, che hanno condotto una serie di esperimenti avanzati utilizzando camere speciali collocate sul fondo marino, a circa 4.200 metri di profondità. Questi esperimenti si sono svolti nella zona Clarion-Clipperton, un’area dell’Oceano Pacifico centrale nota per la sua abbondanza di noduli polimetallici e per la difficoltà di accesso. I ricercatori hanno misurato la concentrazione di ossigeno in diversi luoghi situati a oltre 4.000 chilometri di distanza tra loro, per ottenere una panoramica rappresentativa delle condizioni ambientali. I risultati degli esperimenti hanno mostrato un incremento costante della concentrazione di ossigeno in un intervallo di due giorni, suggerendo che i noduli polimetallici sono una fonte attiva di ossigeno. Questa scoperta è stata confermata attraverso analisi di laboratorio di follow-up, che hanno rivelato che i noduli non solo contengono i metalli noti, ma interagiscono con l’ambiente circostante in modi che generano ossigeno. Gli autori dello studio hanno ipotizzato che le proprietà elettriche dei noduli siano alla base della produzione di ossigeno, suggerendo che le reazioni chimiche che avvengono sui noduli potrebbero essere responsabili dell’emissione di questo gas. Questo fenomeno, definito “ossigeno scuro” a causa della sua scoperta in ambienti estremamente profondi e oscuri, rappresenta una nuova e affascinante area di ricerca nell’ambito della geoscienza e della biologia marina. Produzione di ossigeno dei noduli polimetallici Gli esperimenti condotti da Sweetman e dal suo team hanno fornito dati significativi sulla produzione di ossigeno da parte dei noduli polimetallici, rivelando un aumento misurabile della concentrazione di ossigeno nell’acqua circostante i noduli. Questa produzione di ossigeno è stata osservata in modo consistente durante il periodo di due giorni di monitoraggio, suggerendo che il fenomeno non è un’anomalia occasionale, ma una caratteristica regolare dei noduli. Le analisi di laboratorio successive hanno confermato che il cambiamento nelle concentrazioni di ossigeno era effettivamente dovuto alla presenza dei noduli e non a variabili ambientali o a contaminazioni esterne.

Gli scienziati hanno utilizzato simulazioni numeriche per esplorare ulteriormente il fenomeno e ipotizzare i meccanismi che potrebbero spiegare la produzione di ossigeno. Le simulazioni hanno suggerito che le proprietà elettriche dei noduli, come la loro capacità di condurre elettricità o di facilitare reazioni chimiche redox, potrebbero essere alla base della generazione di ossigeno. Tuttavia, gli autori avvertono che, nonostante questi risultati promettenti, è difficile stimare l’entità della produzione di ossigeno su scala globale e che sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere appieno l’impatto di questa scoperta. L’Ecologia Marina La scoperta che i noduli polimetallici possono produrre ossigeno ha implicazioni profonde per l’ecologia marina, in particolare per gli ecosistemi del fondo marino profondo. L’ossigeno è un elemento fondamentale per la vita marina, e le fonti di ossigeno in ambienti così profondi e remoti sono essenziali per sostenere la biodiversità e la funzionalità degli ecosistemi. La produzione di ossigeno da parte dei noduli polimetallici potrebbe supportare una varietà di organismi marini che abitano questi ambienti estremi, influenzando la loro distribuzione, la loro crescita e le loro interazioni ecologiche. Gli ecosistemi del fondo marino sono noti per la loro complessità e per la loro resilienza, ma sono anche estremamente vulnerabili alle perturbazioni. La rimozione dei noduli polimetallici attraverso l’estrazione mineraria potrebbe alterare questi ambienti in modi che non sono ancora completamente compresi. La perdita di una fonte significativa di ossigeno potrebbe influenzare la composizione delle comunità biologiche, modificare le reti trofiche e causare cambiamenti nelle dinamiche ecologiche. È fondamentale, quindi, considerare attentamente le conseguenze ambientali delle attività di estrazione mineraria e adottare misure per minimizzare l’impatto sugli ecosistemi marini profondi. Read the full article
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